giovedì 2 giugno 2011

LUIGI PIRANDELLO


LUIGI PIRANDELLO



IL TRENO HA FISCHIATO…

Farneticava. Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici; e lo ripetevano tutti i compagni d’ufficio, che ritornavano a due, a tre, dall’ospizio, ov’erano stati a visitarlo. Pareva provassero un gusto particolare a darne l’annunzio coi termini scientifici, appresi or ora dai medici, a qualche collega ritardatario che incontravano per via:
-         Frenesia, frenesia.
-         Encefalite.
-         Infiammazione della membrana cerebrale.
E volevano sembrare afflitti; ma erano in fondo così contenti, anche per quel dovere  compiuto; nella pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gajo azzurro della mattinata invernale.
- Morrà? Impazzirà?
-Mah!
-Morire, pare di no…
- Ma che dice? Che dice?
- Sempre la stessa cosa. Farnetica…
- Povero Belluca!
E a nessuno passava per il capo che, date le specialissime condizioni in cui quell’infelice viveva da tant’anni, il suo caso poteva anche essere naturalissimo; e che tutto ciò che Belluca diceva e che pareva a tutti delirio, sintomo della frenesia, poteva anche essere la spiegazione più semplice di quel naturalissimo caso. Veramente, il fatto che Belluca , la sera avanti, s’era fieramente ribellato al suo capo-uffico, e che poi, all’aspra riprensione di questo, per poco non gli s’era scagliato addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si trattasse di una vera e propria alienazione mentale.
Perché uomo più mansueto e sottomesso, più metodico e paziente di Bellica non si sarebbe potuto immaginare.Circoscritto…sì, chi l’aveva definito così? Uno dei suoi compagni d’ufficio. Circoscritto, povero Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida mansione di computista, senz’altra memoria che non fosse di partite aperte, dipartite semplici o doppie o di storno, e di defalchi e prelevamenti e impostazioni ; note, libri-mastri partitarii, stracciafogli e via dicendo. Casellario ambulante: o piuttosto, vecchio somaro, che tirava zitto zitto, sempre d’un passo, sempre per la stessa strada la carretta, con tanto di paraocchi. Orbene, cento volte questo vecchio somaro era stato frustato, fustigato senza pietà, così per ridere per il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire un po’, a fargli almeno drizzare un po’ le orecchie abbattute, se non a dar segno che volesse levare un piede per sparar qualche calcio. Niente! S’era preso le frustate ingiuste e le crudeli punture in santa pace, sempre, senza neppur fiatare, come se gli toccassero, o meglio, come se non le sentisse più, avvezzo com’era da anni e anni alle continue solenni bastonature della sorte.
Inconcepibile, dunque, veramente quella ribellione in lui, se non come effetto d’una improvvisa alienazione mentale. Tanto più che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio aveva il diritto di fargliela, il capo-ufficio. Già s’era presentato la mattina, con un’aria insolita, nuova;e- cosa  veramente enorme, paragonabile che so?Al crollo d’una montagna- era venuto con più di mezz’ora di ritardo. Pareva che il viso, tutt’a un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi gli fossero tutt’a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato d’improvviso all’intorno lo spettacolo della vita. Pareva che gli orecchi tutt’a un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima volta voci, suoni, non avvertiti mai. Così ilare, d’una ilarità vaga, piena di stordimento, s’era presentato all’ufficio. E, tutto il giorno, non aveva combinato niente. La sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le carte:
-         E come mai? Che hai combinato tutt’oggi?
Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con un’aria d’impudenza aprendo le mani.
-         Che significa?- aveva allora esclamato il capo-ufficio, accostandoglisi e prendendolo per una spalla e scrollandolo—Ohé, Belluca!
-         Niente- aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d’impudenza e d’imbecillità sulle labbra- Il treno, signor Cavaliere.
-         Il treno? Che treno?
-         Ha fischiato.
-         Ma che diavolo dici?
-         Stanotte signor Cavaliere. Ha fischiato. L’ho sentito fischiare…
-         Il treno?
-         Sìssignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia…oppure oppure…nelle foreste del Congo…Si fa in un attimo, signor Cavaliere!
Gli altri impiegati, alle grida del capo-ufficio imbestialito, erano entrati nella stanza e, sentendo parlare così Belluca, giù risate da pazzi. Allora il capo-ufficio- che quella sera doveva essere di malumore- urtato da quelle risate, era montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima di tanti suoi scherzi crudeli. Se non che, questa volta, la vittima, con stupore e quasi con terrore di tutti si era ribellata, aveva inveito, gridando sempre quella stramberia del treno che aveva fischiato, e che, perdio, ora non più, ora ch’ egli aveva sentito fischiare il treno, non poteva più, non voleva più essere trattato in quel modo. Lo avevano a viva forza preso, imbracato e trascinato all’ospizio dei matti […]
Non avevo veduto mai un uomo vivere come Belluca. Ero suo vicino di casa, e non io soltanto, ma tutti gli altri inquilini della casa si domandavano con menome mai quell’ uomo potesse resistere in quelle condizioni di vita. Aveva con sé tre cieche, la moglie, la suocera e la sorella della suocera: queste due, vecchissime, per cataratta, l’altra, la moglie, senza cataratta, cieca fissa; palpebre murate. Tutt’e tre volevano esser servite. Strillavano dalla mattina alla sera perché nessuno le serviva. Le due figliuole vedove, raccolte in casa dopo la morte dei mariti, l’una con quattro, l’altra con tre figliuoli, non avevano mai né tempo né voglia da badare ad esse; se mai, porgevano qualche aiuto alla madre soltanto. Con lo scarso provento del suo impieguccio di computista poteva Belluca dar da mangiare a tutte queste bocche? Si procurava altro lavoro per la sera, in casa: carte da ricopiare. E ricopiava tra gli strilli indiavolati di quelle cinque donne e di quei sette ragazzi, finché essi, tutt’e dodici, non trovavan posto nei tre soli letti della casa. Letti ampii, matrimoniali, ma tre. […] Ebbene, signori: a Belluca, in queste condizioni, era accaduto un fatto naturalissimo. Quando andai a trovarlo all’ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per segno. Era, sì, ancora un po’ esaltato, ma naturalissimamente, per ciò che gli era accaduto. Rideva dei medici, degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano impazzito.
-         Magari!- diceva – Magari!
Signori, Belluca, s’era dimenticato da tanti e tanti anni - che il mondo esisteva. […]
Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l’eccessiva stanchezza, non gli era riuscito d’ addormentarsi subito. E, d’improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare un treno. Gli era parso che gli orecchi, chissà come, d’improvviso, dopo tanti anni, gli si fossero sturati. Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d’un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s’era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt’intorno. S’era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era corso con il pensiero dietro a quel treno che s’allontanava nella notte. C’era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti c’era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui il treno s’avviava…Firenze, Bologna, Torino, Venezia…tante città, in cui egli da giovine era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sì, sapeva la vita che vi si viveva! La vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui! E seguitava, quella vita; aveva sempre seguitato, mentr’egli qua, come una bestia bendata, girava la stanga del molino. Non ci aveva pensato più. Il mondo s’era chiuso per lui, nel tormento della sua casa, nell’arida ispida angustia della sua computisteria…Ma ora, ecco, gli rientrava, come per travaso violento, nello spirito. L’attimo, che scoccava per lui, qua, in questa sua prigione, scorreva come un brivido elettrico per tutto il mondo, e lui con l’immaginazione d’improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva seguirlo per città note e ignote, lande, montagne, foreste, mari…Questo stesso brivido, questo stesso palpito del tempo. C’erano, mentre egli qua viveva questa vita “impossibile”, tanti e tanti milioni di uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente. Ora, nel medesimo attimo ch’ egli qua soffriva, c’erano le montagne solitarie nevose che levavano al cielo notturno le azzurre fronti…Sì, sì, le vedeva, le vedeva così…C’erano gli oceani…le foreste. E, dunque, lui-ora che il mondo gli era rientrato nello spirito- poteva in qualche modo consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento, per prendersi con l’immaginazione una boccata d’aria nel mondo. Gli bastava! Naturalmente, il primo giorno, aveva ecceduto. S’era ubriacato. Tutto il mondo, dentro d’un tratto: un cataclisma. A poco a poco si sarebbe ricomposto. Era ancora ebro della troppa aria, lo sentiva. Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al capo-ufficio, e avrebbe ripreso come prima la sua computisteria. Soltanto il capo-ufficio ormai non doveva pretender troppo da lui come per il passato: doveva concedergli che di tanto in tanto, tra una partita e l’altra da registrare, egli facesse una capatina, sì, in Siberia…oppure…oppure nelle foreste del Congo:
-Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato. 
  
                                            DA “NOVELLE PER UN ANNO”, MONDADORI, MILANO.

mercoledì 30 marzo 2011

IL CINEMA “NEOREALISTA”.



Il cinema comunemente definito “Neorealista” si affermò nell’Italia del secondo dopoguerra, tra la metà degli anni Quaranta ed i primi anni Cinquanta, raggiungendo la massima diffusione tra il 1943 ed il 1952. In quegli anni il grande schermo smise di essere l’oggetto grazie al quale tutti potevano sognare ad occhi aperti e divenne una finestra sulla realtà. Su di esso si cominciò a narrare con disincanto gli orrori della guerra, l’occupazione, la lotta partigiana, la liberazione. Esso divenne uno specchio sul quale riconoscere le storie ed i problemi di tutti, quelli che afflissero e talvolta affliggono ancora il nostro Paese. Liberati dall’oppressione dell’epoca fascista e dalla necessità della propaganda, gli intellettuali ed i cineasti poterono finalmente esprimere liberamente la loro posizione e dare un contributo alla rinascita sociale e culturale italiana. Il cinema poté “parlare” un linguaggio comprensibile  a tutti e denunciare così i problemi sociali dell’epoca soprattutto a carico delle classi popolari. Di seguito ecco le caratteristiche salienti del filone NEOREALISTA:
i ritratti di personaggi umili, tutti presi dalla ricerca della soluzione ai loro problemi quotidiani più urgenti, la disoccupazione, il bisogno di “sbarcare il lunario”. Mancò da parte dei registi la volontà di essere patetici e mancò la ricerca della bella immagine, a favore dell’efficacia e dell’immediatezza della denuncia sociale, pur senza un giudizio diretto. Nulla fu  addolcito o edulcorato per compiacere il pubblico, ma tutto fu lasciato alla disarmante spontaneità di attori presi dalla strada, non professionisti, “attori per caso”,ma dotati di forte espressività. Non si volle evocare il semplice coinvolgimento emotivo,ma esibire la piena  consapevolezza dello scoraggiamento e delle necessità comuni a tutti. Le riprese si svolsero per lo più all’aperto a causa di una Cinecittà impraticabile e rifugio di sfollati. La volontà di riprodurre in modo efficace la realtà investì sull’uso della parlata popolare, dei modi di dire, del linguaggio semplice ed immediato , del dialetto. Questi espedienti linguistici fecero emergere alcune differenze sociali e regionali che fino a quel momento erano state annullate dalla necessaria adesione al modello fascista dell’italianità comune a tutti gli abitanti della penisola. I  bambini furono spesso coinvolti nelle riprese con ruoli più o meno importanti per rappresentare l’innocenza, l’esempio, l’auspicabile fiducia nel futuro che sarebbero state necessarie anche agli adulti. Sono oggi universalmente esemplari personaggi come:
- i lustrascarpe del film “Sciuscià”immortalati da Vittorio De Sica nel 1946;
- il disoccupato romano del film”Ladri di biciclette”, sempre di De Sica, ma risalente al 1948;
-dello stesso De Sica  il pensionato della pellicola “Umberto D.” del 1952.
 Un altro maestro risponde al nome di Roberto Rossellini regista di capolavori come :
-“Roma città aperta” del 1945 con Aldo Fabrizi;
 -“Paisa”del 1946;
- “Germania anno zero” del 1948.
Diciamo ancora oggi grazie a Luchino Visconti per:
- “La terra trema” del 1948, tratto dal romanzo “I Malavoglia”di Giovanni Verga;
Bellissima” del 1951 con Anna Magnani.
 Una delle persone che collaborarono a rendere immortali alcuni dei più importanti film Neorealisti fu lo sceneggiatore Cesare Zavattini.
Il film del 1949 intitolato “Riso amaro” diretto da Giuseppe de Santis resta una delle migliori interpretazioni di Silvana Mangano e Vittorio Gassman.
Possiamo citare come semplicemente ispirato dal filone Neorealista il film “La ciociara” del 1960, di Vittorio De Sica,  tratto dal romanzo di Alberto Moravia, con Sophia Loren, PREMIO OSCAR come migliore attrice. 




mercoledì 16 marzo 2011

150° UNITA' D'ITALIA


ALL’ITALIA…
Com’è tutta bella la nostra Italia!Ovunque io volga lo sguardo od il pensiero, si benedice Iddio d’esser nati su questa terra. E quando poi si pensa che ora è proprio nostra!”
                                          CLARA MAFFEI
Cfr. “C’era una volta in italia”di Antonio Caprarica edito da Sperling e Kupfer – Rai Eri.


NELLA SPERANZA CHE IN FUTURO POTREMO ESSERE ANCORA TANTO ORGOGLIOSI DELLA NOSTRA PATRIA, DICIAMO TUTTI :

AUGURI ITALIA !!!

domenica 6 marzo 2011

Care ragazze e cari ragazzi,




sta per arrivare la ricorrenza dell’OTTO MARZO. Nella nostra società attuale essa si è trasformata in un momento per dare sfogo alle “manie consumistiche”. Raccogliamo pure un ramoscello di mimosa o accettiamolo,ma ricordiamo le origini della festa, perché essa diventi spunto per il progresso individuale e collettivo di tutti. L’ OTTO MARZO del 1908 le 129 operaie di un’industria tessile di New York scioperarono contro le loro terribili condizioni di lavoro. Il proprietario dell’azienda fece appiccare l’incendio e le operaie  morirono tutte bruciate all’interno della struttura.  Rispettiamo quelle persone  morte nella difesa della loro dignità di donne e di lavoratrici, ma rispettiamo anche tutte le donne che incontriamo o che incontreremo lungo il cammino della vita.
Mi rivolgo a voi, giovani donne in fiore, che incontro ogni giorno tra i banchi: affrontate le sfide grandi e piccole dell’esistenza a testa alta, siate consapevoli delle vostre qualità, siate orgogliose delle vostre peculiarità e sempre pronte ad offrire un personale contributo al miglioramento del mondo che vi circonda.
AUGURI!
Ballata delle donne
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.

Edoardo Sanguineti

venerdì 25 febbraio 2011

IL “NEW DEAL” DI FRANKLIN DELANO ROOSWELT.




“O SI LAVORA O SI SOGNA. QUELLI CHE VOGLIONO DAVVERO UNA COSA LAVORANO FINCHE’ NON L’HANNO OTTENUTA. E’ IL CORAGGIO CHE FA LA FORTUNA”.

sabato 12 febbraio 2011

EEDITH STEIN: QUANDO LA LEGGE SOFFOCA IL PENSIERO.





Edith Stein, filosofa di origine ebraica, è solo uno dei tanti esempi di personaggi illustri della cultura che subirono gli effetti delle leggi razziali tedesche: la ricordiamo anche tra le vittime del campo di sterminio di Auschwitz. La sua figura è giunta all’onore degli altari ed è compatrona d’Europa, con il nome di Santa Teresa Benedetta della Croce, assunto dopo la sua conversione al cattolicesimo e l’assunzione dei voti religiosi. La sua festa si celebra il 9 agosto. Proprio il 9 agosto del 1942 Edith morì dopo una delle selezioni ad Auschwitz.
Alla sua storia è stato dedicato il film intitolato “La settima stanza”della regista Marta Meszaros, premiato alla cinquantaduesima Mostra del Cinema di Venezia nel 1995.

martedì 8 febbraio 2011

E S P E R A N T O



5 FEBBRAIO 2011- INCONTRO CON L’ESPERANTO:LA LINGUA CHE VUOLE ABBRACCIARE IL MONDO.

Sabato cinque febbraio ho avuto il piacere di rispondere positivamente all’invito del Professor Antonio De Cristofaro e di accompagnare i ragazzi della classe terza al loro incontro con l’Esperanto. Già consapevoli della sua esistenza e della sua definizione, gli allievi si sono docilmente lasciati prendere per mano, alla più profonda esplorazione di questa lingua che persegue l’ambizioso obiettivo di abbracciare il mondo abbattendone le barriere linguistiche. Ad oltre cento anni dalla nascita di questa lingua transnazionale, aumenta continuamente il numero di uomini e donne che, nel mondo, ne condividono il patrimonio.
Altrettanti sono però i pregiudizi che la circondano: considerarla al pari di un’altra qualsiasi lingua seconda, addossarle la colpa di sminuire le lingue nazionali. Nulla può dirsi più lontano dal vero: l’interesse dimostrato dai giovani del nostro Istituto Omnicomprensivo, nonché la spontanea ed istintiva adesione all’ideale etico che ne sorregge la diffusione,  ne dimostrano la validità. L’Esperanto è già, ma può diventare sempre di più uno strumento di conoscenza reciproca tra i popoli, una fonte di arricchimento culturale e sociale, un elemento che può accomunare gli uomini, che può farli riconoscere tutti come appartenenti all’unica ed universale famiglia umana.
In una società sempre più multietnica, globalizzata e caratterizzata da significativi flussi migratori, è necessario trovare punti d’incontro tra persone che hanno bisogno di convivere, di comprendere i rispettivi bisogni, di scoprirsi fratelli, di rispondere negativamente a chi vede in questi cambiamenti storici e sociali una minaccia per la pace.
 Il miglior sistema per farlo non è forse il ricorso ad una lingua che affonda le proprie radici in molte altre lingue, rispettandole tutte? Si tratta, infatti, di una lingua unica nella sua molteplicità, figlia e prodotto di mille sfumature, come lo è ogni Uomo.
Che fare in un’epoca in cui è più facile radicare fondamentalismi che costruire ponti di conoscenza e solidarietà, in un periodo in cui le controversie internazionali o personali paiono difficili da risolvere, spesso a causa di semplici luoghi comuni oppure di ancor più grave “pigrizia diplomatica”? Dire no in ogni modo a questo modus operandi. I giovani sono il futuro della terra e non possono rimanere passivi, come talvolta si tende a considerarli. Essi saranno gli uomini e le donne del domani,  che oggi però risultano imbevuti di cultura dell’apparire più che dell’essere, di molteplici forme di violenza che applicano o che vedono senza neppure considerarle tali.
Tuttavia non si può generalizzare, perché i ragazzi sono anche coloro che più di tutti gli altri hanno fame di un futuro migliore. Tra le mura di una scuola si è cercato di far vedere loro un’alternativa ai modelli che oggi sembrano dominanti:l’egoismo, l’individualismo, la chiusura nei confronti dell’altro. Si è tentato di mostrare ed aprire una possibile finestra sull’essenza del cuore umano, attraverso la “lingua che spera”, come loro sperano.

L’insegnante

Antonella Iantomasi

ALCUNE OSSERVAZIONI DEI RAGAZZI:

“Esperanto permette di comunicare senza discriminazioni ed è indipendente dai poteri politici ed economici. Esso appartiene a tutti.” ARIANNA

“Dante fu il primo a pensare che l’Esperanto fosse una lingua possibile. Molte associazioni politiche, religiose e scientifiche usano l’Esperanto per coltivare le loro relazioni internazionali, ma esso viene sfruttato anche per facilitare le relazioni interpersonali tra parlanti di differenti lingue materne. “ M. LAURA

“l’Esperanto vuole abbattere la logica della supremazia  della lingua del più forte ed offrire la possibilità di conoscere le altre culture. Proprio per questo l’Esperanto si può definire una lingua ponte. […]Lo spirito degli esperantisti è quello di favorire l’incontro e lo scambio culturali. […]Queste conferenze si dovrebbero organizzare più spesso affinché i ragazzi capiscano tutti quanto sia importante l’incontro e lo scambio tra diverse comunità ed in questo caso, tra allievi di differenti fasce d’età. […]Credo che bisognerebbe promuovere questa lingua e mi auguro che essa diventi una speranza di convivenza per l’intera società umana. “  LUCIACONCETTA

“L’ Esperanto può essere utile per il futuro di ciascuno di noi”.
                                    GIANLUIGI
“Spero che, in futuro, i parlanti di Esperanto diventeranno molti di più degli attuali 3 milioni”.                        LORENZO T.

“Per me imparare nuove lingue è come varcare nuovi mondi bellissimi”.
                                               PAOLA
“A me l’Esperanto sembra molto interessante e mi piacerebbe impararlo”. TERESA

“Trovo che l’Esperanto sia una lingua utile e che potrebbe essere impiegata in vari settori”.
                                            GIUSEPPE
“Penso che l’Esperanto sia molto importante e molto aperto, perché non “scarta” nessuno. Esso permette di comunicare “alla pari”, evitando qualsiasi discriminazione”. ANNA

“L’Esperanto è interessante perché la sua struttura funziona come il gioco delle costruzioni”.
                             FRANCESCO

“Se tutti imparassimo l’Esperanto, non ci sarebbe più nessun problema legato alla diversità di lingue, ci sarebbe, invece, più comunicazione tra i popoli e ciascuno potrebbe esprimere le proprie opinioni trovando nell’altro una più immediata comprensione”. MELISSA

mercoledì 26 gennaio 2011

IL GIORNO DELLA MEMORIA 2011
Il Giono della Memoria 2011


DUE PAROLE PRIMA DI COMINCIARE:

“La memoria è un atto morale” scriveva Christa Wolf ed io penso che, come tale, essa vada proposta alle nuove generazioni, a coloro la cui coscienza oggi si sta formando. La capacità di custodire la memoria non s’improvvisa, ma si radica, ricava dentro ciascuno di noi uno spazio, tanto più ampio, se scavato negli anni, sin dalla giovane età.
La forza del ricordo, del domandare e del domandarsi, diviene l’antidoto più efficace alla labilità, alla fugacità, alla perenne corsa del nostro vivere quotidiano. Quest’ultimo ci concede sempre meno tempo per riflettere. 
Attraverso il contributo di acerbe dita scriventi, di cuori capaci di meraviglia e di stupore, ma anche d’indignazione, tra queste pagine, si scommette sulla possibilità di svegliare coscienze troppo spesso sopite o troppo falsamente recettive. Il compito di educare i ragazzi non è forse quello di alimentare curiosità e di far sorgere interrogativi veri?
Guardare al passato doloroso, all’avventura umana delle vittime dello sterminio nazista è solo una delle tante chiavi che possono aprire gli animi e le menti al futuro. Si tratta di andare sempre alla ricerca del Male per assicurarne l’eterna insensatezza e di tornare sempre alla ricerca del Bene per rinnovarne l’assoluto bisogno. Questo piccolo lavoro è una maniera per rispondere all’appello di Primo Levi:”Spaventa il pensiero di quanto potrà accadere quando tutti i testimoni saranno spariti”. Il calendario è il simbolo stesso dello scorrere del tempo, ideato perché il tempo non sia un inutile spreco di giorni, ma una preziosa risorsa. Tale è il tempo della crescita degli autori e tale fu il tempo delle persone che si vuole ricordare il 27 GENNAIO di ogni anno.
In una sorta d’ideale percorso tra il tempo della vita ed il tempo della morte, il calendario procede dalla ghettizzazione degli ebrei alla loro morte, passando per le innumerevoli forme d’annientamento del corpo, dello spirito e della dignità che queste creature hanno subito. Cari lettori, questo breve documento della memoria guarda, in primo luogo, a tutti quei “diversi” così raramente citati nei libri della Storia ufficiale, ma la cui quotidianità fu orrendamente sconvolta senza nessuno scrupolo. Mi riferisco ai disabili, ai rom, alle altre minoranze etniche, agli omosessuali, ai Testimoni di Geova ed a molti altri.
L’augurio è quello che, tra le righe, troviate l’ultimo contributo alla memoria eterna degli “ultimi”.
 L’insegnante coordinatrice del lavoro
                                                         Antonella Iantomasi
IL CALENDARIO REALIZZATO DALLA CLASSE 3^ MEDIA
Il lavoro realizzato dall'alunna Luciaconcetta Vincelli sui campi di sterminio di Aschwitz e Mauthausen    



P R O G R A M M A del 27-01-2011









domenica 9 gennaio 2011

GUERRA E PACE

Galletta Melfi
Ramacieri Danza
Vincelli Maiorano
Todesco Lallitta
Maurizio Giammaria

Vincelli Salvatore
Ramaglia Caporicci
Maurizio Giammaria